Logo Design e Brand Identity: come creare un’identità vincente
Un mondo, che fino ad oggi è stato definito omni-channel, mentre adesso andiamo sempre più verso il no-channel, senza evidenti confini ne apparenti barriere (se non quelle culturali), in un ecosistema che si “autoalimenta” quindi senza soluzioni di continuità.
Il metaverso, come viene chiamato adesso il mix tra mondo reale, aumentato e virtuale. Lo stesso in cui nel 2022, il 69% dei responsabili marketing prevede maggiori investimenti ad esempio sugli influencer Instagram, perchè i social diventano sempre più determinanti per gli acquisti, a tal punto che le aziende iniziano a costruire le proprie reti social interne.
Viviamo insomma una quotidianità fatta di iper connessione, eccessi di informazione e canali di comunicazione (social in primis), assieme a promozioni ed offerte di ogni forma e natura, propinate direttamente o indirettamente. Per cui diventa davvero determinante avere la capacità di “farsi notare” catturando l’attenzione, stimolando le giuste emozioni, quelle a cui chiunque si lascia andare per prendere qualsiasi decisione.
Quindi, in un progetto di digital branding, vincono una brand identity e strategy perfette o ennemila K di budget in ADV?
Forse tutte le cose assieme ma evidentemente, vince su tutto il branding. Vediamo perché.
Cosa vuol dire fare Branding?
Chiariamo subito che il brand non è il logo o marchio. Il brand è il mondo che quest’ultimo rappresenta, frutto della risposta a 4 domande: cosa sappiamo fare, cosa richiede il mercato, cosa possiamo fare, come lo comunichiamo.
Fare branding quindi, sostanzialmente vuol dire: saper raccontare questa storia, quella di una realtà aziendale e/o di un prodotto/servizio. Vuol dire interpretare il viaggio che le persone vogliono farsi più o meno autonomamente per sapere, conoscere, decidere ed infine scegliere. Un percorso che viene analizzato nel dettaglio in tutte le fasi di un customer journey.
E parlando di branding, questa storia inizia e/o finisce poi con un nome e un logo riconosciuti e riconoscibili, che rappresentano la destinazione e nei quali, se raccontati bene, ci si potrebbe identificare (Apple è un ottimo esempio), arrivando infine al massimo compimento di una corretta brand strategy: diventare portavoce del brand.
Fare branding quindi, non vuol dire solo “rincorrere” il contatto ma prepararsi ad accoglierlo.
Facile no? Beh, per niente, perché si devono abbattere i “limiti” di quei canali di cui sopra, solo con l’analisi, la strategia e soprattutto, la spontaneità e la verità del messaggio che riusciamo a dare alle persone giuste: il nostro target. Ecco perché il branding vince su tutto. Ed ecco perché gli ennemila K di advertising, serviranno solo a dare la giusta spinta ad un qualcosa che deve già avere una vita propria, alimentandosi autonomamente.
Sarebbe inutile infatti investire migliaia di euro in una campagna che poi non trova seguiti, se non un mucchio di click che alimentano però solo l’ego, non il bilancio aziendale.
Logo Design: come si costruisce quello giusto
Il termine “costruire” non è a caso, perché per “farne” uno, sono capaci tutti, compreso “mio nipote che smanetta sul computer” e soprattutto oggi, che in rete è pieno di piattaforme che imputati i parametri, rilasciano decine di soluzioni. Omologate, certo. Perché se cerchiamo unicità, non è ovviamente l’approccio corretto.
L’unicità si ottiene con il metodo e nel design, il metodo si chiama design thinking e service design.
From Design Thinking to Graphic Design
Quando si parla di design thinking, parliamo di framework di lavoro e processi iterativi ereditati dal mondo digital, creati per lo sviluppo di applicativi e per diretta discendenza, per il mondo delle start-up.
Dunque dalla definizione del problema, alla ricerca della soluzione ottimale, mettendo sempre al centro l’aspetto umano differenziante e l’iterazione costruttiva del loro intervento, che viene espresso in attività partecipative: il co-design.
Per arrivare a costruire il logo design giusto quindi, bisogna partire dall’individuazione di un “bisogno”, che non è solo il nostro ma principalmente quello del nostro target, avendo ben chiaro quindi il chi e/o il cosa deve rappresentare e dunque il perché dovrebbe essere fatto in quel modo. Solo dopo aver determinato questo, possiamo concludere il nostro percorso con il come realizzarlo e il dove applicarlo.
Le caratteristiche di un logo
Diciamo che prima di tutto il logo è solo una parte del processo di branding, perché lo storytelling che andremo a verbalizzare andrà a completare i valori che esso rappresenta. Deve comunque essere unico e differenziante, in grado di influenzare il pubblico evocando in loro tutte le componenti immateriali di cui parlavamo prima: le emozioni.
Ma quanti tipi di logo conosciamo? Ne classifichiamo sei.
- Logo monogramma: assemblaggio tipografico di una o più lettere
- Logotipo (parola) tipografico: soluzione tipografica senza elementi figurativi
- Logotipo (parola) figurativo: soluzione tipografica inscritta in un elemento figurativo
- Logo figurativo: logo abbinato ad un simbolo grafico stilizzato decodificabile (marchio)
- Logo astratto: logo abbinato ad un simbolo grafico astratto (marchio)
- Logo illustrato: logo abbinato ad un simbolo grafico figurato e decodificabile
Prima di partire quindi con la progettazione, quale tra questi rappresenterà meglio la storia che vogliamo raccontare? E questo logo, vivrà rappresentato monocromatico, a colori e se vogliamo il colore, quale sarà quello più adeguato?
La bibliografia in ambito di psicologia dei colori nel marketing è ampia e la soggettività non deve influenzare eccessivamente le scelte che al contrario devono rimanere il più obiettive possibile, che ancora una volta, solo il “metodo” applicato è in grado di garantire.
La prima presentazione del logo fatela in bianco e nero. Ci si concentra sulla sostanza della forma, senza la soggettività del colore.
Golden ratio: equilibrio di forma
I 4 principi progettuali di un logo sono:
- Semplicità e pulizia: more is less ma non banale. Evitare elementi complicati da decodificare.
- Memorabilità: un logo senza tempo non deve seguire le mode.
- Specifico: perché deve essere contestualizzabile all’interno del proprio mercato.
- Versatile: gradevole e leggibile in ogni applicazione e dimensione
Questi principi possono essere garantiti se costruiamo il nostro logo rispettando gli equilibri di forma e proporzioni, le stesse che andranno a caratterizzare poi la sua riproducibilità e applicazione in vari ambiti.
Alcuni esempi sono sotto i nostri occhi ogni giorno e se entriamo nello specifico del rapporto proporzionale degli elementi che costituiscono questi loghi, ci rendiamo conto di quanto sia effettivamente indispensabile approcciarsi all’argomento con il solo criterio da cui siamo partiti: il metodo. Ogni grande idea in fondo, deve essere realizzabile.
Fate una prova finale, sfruttando un’altra regola, quella del “2x2 cm”. Si legge?
Dalla Brand Identity al Digital Branding
Per descrivere il concetto di brand identity, possiamo parafrasarlo dicendo che è il nostro “biglietto da visita”, il nostro “segno distintivo”, il modo di applicare l’identità ad ogni materiale e/o canale che decidiamo di sfruttare per comunicare con il nostro target, in ogni fase del suo processo: ricerca, interesse, selezione, decisione e fino all’advocacy.
Se dunque la nostra brand strategy è chiara, frutto di tutti i processi che ci hanno portati a definire il più adeguato modo di comunicare nel settore in cui operiamo, ogni touchpoint fisico o digitale (che nel no-channel è definito phygital), si dovrà evidentemente riconoscere sempre lo stesso stile: il nostro.
I font devono essere usati in modo coerente, il trattamento delle immagini devono essere adattate al canale, al mezzo e alla finalità ultima. Il tone of voice riconoscibile, l’uso dei colori rispettato e lo storytelling ben strutturato, in ogni fase del funnel di marketing.
L’identità vincente è quella che racconta esattamente ciò che siamo e vogliamo rappresentare. Più è vera, meglio rende. Quella che si adatta quindi al nostro mercato, al nostro target ma soprattutto alla natura del nostro business, non a quella che crediamo possa funzionare, solo perché fatta da altri funziona.
Ci si può ispirare certo, prendere spunto da best practice ma la strategia vincente è quella che possiamo costruire solo ed esclusivamente sulle nostre di caratteristiche, in nessun altra. Altrimenti non sapremo argomentarla e “difenderla”.
In chiusura, se nella nostra strategia di marketing abbiamo bisogno di performance vere (come è giusto che sia - cfr. KPI), immagino sia chiaro che l’improvvisazione oggi non paghi più, nemmeno affidandosi a quel nipote che sa smanettare sul computer. Perché oggi il target è consapevole e noi, dobbiamo esserlo prima di chiunque altro.
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